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L'Arbouna
Narbona di Castelmagno





L'Arbouna - Narbona… Il toponimo deriva probabilmente dal termine occitano "Arbou" (albero) italianizzato in "Narbona".
Al netto di varie supposizioni, non si hanno certezze sulla data della sua fondazione.

Negli archivi è ben documentata la disputa secolare tra Castelmagno e Celle Macra per il godimento dei pascoli sullo spartiacque a monte della frazione ma, nelle sentenze che si sono susseguite dal 1280 in poi, sono citati solo i due comuni. Riferimenti precisi alla borgata si rintracciano per la prima volta nel 1784; tuttavia la dicitura l'Arbouna-Narbona è già presente più di un secolo prima in un documento ecclesiastico relativo alla "Confatria Santo Spirito della Ruata Colletto" datato 3 Maggio 1670.

Edificata su di un pendio ripidissimo in un vallone severo e spettacolare, mai raggiunta da una strada o dall'elettricità, isolata ogni inverno dalle valanghe che l'assediano, Narbona, è comunque stata una delle frazioni più popolose di Castelmagno.




Nel 1719 contava una ventina di famiglie; nel 1848 raggiunse l'apice con 154 abitanti; in seguito, come per tanti altri paesi montani, andò spopolandosi e il declino accelerò in concomitanza delle due guerre mondiali e le profonde trasformazioni economiche e sociali
del Novecento.
Nel 1951 gli abitanti di Narbona erano 76 e ad affrontare il terribile inverno del '59/60 rimasero solo cinque famiglie, le quali, vista l'impossibilità di far fronte allo sgombero neve dai sentieri in così pochi, decisero di abbandonarla definitivamente.

Attualmente solo un paio di case e la chiesa si sono salvate, ma solamente quest'ultima è visitabile in sicurezza.
Molti edifici sono ridotti a ruderi o rovine pericolanti ed è quindi sconsigliato aggirarsi nella frazione.





La Guiza d'la Madona d'la Néou de l'Arbouna

La Chiesa della Madonna della Neve di Narbona




Non si hanno dati certi o documenti a testimonianza di quando fu edificata la chiesetta dedicata alla "Madonna della Neve di Narbona".
Nel suo storico libro, datato 1894, don Bernardino Galaverna racconta che, secondo i registri ecclesiastici, già nell'anno 1683 nella borgata vivevano stanzialmente ben nove famiglie, di conseguenza è ragionevole che la chiesa fosse presente in loco almeno fin dalla metà del 1600.
I primi dati certi al suo riguardo risalgono al 1698; in un documento presente negli archivi storici di Castelmagno, risultano nominati Magno Arneodo e Lorenzo Arneodo quali Massari della sacra cappella di Narbona.

Sempre dai registri ecclesiastici si apprende che nel 1893 la cappella fu oggetto di consistenti lavori di restauro e di opere decorative.
Nel 1931, come dimostra la data incisa sul trave portante riportata alla luce durante i recenti lavori di manutenzione, alla cappella in questione venne aggiunto il porticato antistante.




Un altro cospicuo intervento su di essa venne eseguito nel 1933 grazie alla manodopera prestata dagli abitanti della borgata.
Si giunge così all'anno 1962: L'Arbouna viene abbandonata definitivamente, smettono di tornarci a passare qualche mese nella bella stagione estiva le ultime famiglie. Così anche per la chiesetta inizia la triste usanza delle razzie, del decadimento strutturale dovuto all'incuria e al passare del tempo.

Nel 2013 la svolta, molte travi del tetto oramai marcite hanno ceduto e il peso delle "laouse" minaccia di far crollare a breve il soffitto a botte della chiesa... nell'autunno del 2014 un gruppo di volontari si mette al lavoro… inizia così il salvataggio dell'edificio.




In questi ultimi anni di Narbona hanno parlato e scritto in tanti, purtroppo, sulla medesima borgata sono anche dette e scritte parecchie stupidaggini e inesattezze, per questo motivo ci permettiamo di proporvi la lettura di questo bellissimo libro di Renato Lombardo, frutto
di quarant'anni di preziosa e meticolosa ricerca storica.


IL LIBRO:
526 pagine corredate da più di 300 foto a colori.


Chi scrive un libro di memorie scrive per permettere di ricordare dopo la fine di ogni ricordo, per dare visibilità a tanti vissuti silenziosi e concedere la rivincita di una racconto alle vittime di troppi cattivi destini.

Quando ti inoltri in un luogo deserto per raggiungere un paese che non c'è più e del quale sono visibili soltanto le macerie è indispensabile che tu conosca la vastità dell'invisibile che soggiace sotto quel poco che vedi.
Devi sapere quello che lì è stato quando quel mondo era ancora abitato.
Soltanto così, illuminato dalla conoscenza e sorretto dai dettati della memoria, il tuo viaggio ti condurrà alla scoperta della difficile bellezza di quel luogo abbandonato.
Vale per Narbona come per le mille borgate delle nostre montagne disertate dall'uomo.

Raccontare la storia di un borgo è raccontare la storia di quanti lì sono vissuti.
Anche se poco rimane da vedere in quel che è, possiamo ancora sempre immaginare ciò che è stato.
Per proteggere qualcosa bisogna esserne innamorati.
L'Arbouna la nosta, Narbona la nostra, vuole essere un accorato canto d'addio a un passato che possiamo anche non rimpiangere, ma non potremo mai dimenticare.

Renato Lombardo





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