Il sistema si è concretato subito. Un'iniziativa parlamentare
di revisione della legge base sulla protezione civile fu immediatamente
bloccata dal Governo e furono completamente ignorate le argomentazioni
del proponente.
La legge è palesemente
incostituzionale? va bene così, non c'è bisogno di nuove
leggi, è sufficiente interpretare innovativamente la vecchia,
come recita una circolare del Dipartimento.
La vecchia legge tollera una pericolosa sovrapposizione di competenze
tra Stato, Regioni, Province e Comuni? Nessuna preoccupazione; si
agirà con accordi, intese e raccordi, come recita sempre la
stessa circolare.
Soprattutto nessun Ministro o Sottosegretario
alla protezione civile ma dipendenza diretta del Capo Dipartimento
dal Presidente del Consiglio che evidentemente non può non
rimettersi, in una materia così specialistica, al Capo stesso
del Dipartimento.
Recentemente l'ultimo tassello,
la ciliegina: organizzare la protezione civile secondo le regole di
una Società per azioni. Lo
stratagemma poi, per operare senza lacci e lacciuoli, è stato
trovato nella legge stessa della protezione civile. Basta dichiarare
lo stato di emergenza e si procede a colpi d'ordinanza in barba alle
leggi che potrebbero esser d'intralcio, prime fra tutte le norme sugli
appalti.
Fa gioco anche l'enfatizzazione dei pericoli, come nel caso del famoso
laghetto glaciale di Macugnaga, oppure dell'urgenza degli interventi,
assolutamente immotivata, come nel caso di lavori programmabili con
anni di anticipo.
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La soluzione è
brillante ma ha tre difetti.
Primo: è una libera ed arbitraria interpretazione
dello "stato di emergenza" che non può essere
dichiarato per eventi non catastrofici e urgenti.
Secondo: è un sistema d'intervento che esclude totalmente
la libera concorrenza e il confronto delle competenze in un settore
dove sono gestiti centinaia di milioni di euro.
Terzo: alimenta automaticamente un brodo di cultura "gelatinoso",
com'è stato acutamente definito, dove è illusorio
non immaginare che si sviluppino i batteri della corruzione.
Se l'operare in deroga può
essere tollerabile in presenza di un disastro, non lo è
assolutamente per la realizzazione di quelle opere che non hanno
caratteristiche di urgenza e gravità e presuppongano una
situazione d'eccezione.
Le opere sono realizzate con efficienza e rapidità?
Ci mancherebbe altro che non lo fossero, potendo agire completamente
fuori da ogni regola! |
Se si aggiunge che la scelta dei maggiori
responsabili dell'assegnazione e dell'attuazione dei lavori pare sia
a discrezione sempre dello stesso Dipartimento, mi sembra che il quadro
di rischio sia completo.
E ciò non è proprio, guarda caso, nella filosofia della
protezione civile, dove previsione e prevenzione sono dogmi ineludibili.
Il Governo difende l'operato personale del Capo del Dipartimento.
Non si è lasciato corrompere;
non era suo compito controllare le commesse di lavori e si è
solo fidato troppo.
Sul primo punto possiamo essere d'accordo ma sul secondo no. Quando
si opera in deroga assoluta e si dovrebbero quindi inasprire i controlli,
fidarsi è un errore imperdonabile.
Non preoccupa il piccolo cabotaggio
dei favori, delle escort o delle mazzette che rigurgitano nel sistema
della protezione civile. A questi pensano i giudici e pare che abbiano
molto da fare. Preoccupa, invece, il sistema che alimenta il fenomeno.
E a questo dovrebbe pensare il Parlamento.
Generale Luigi Manfredi
già responsabile del Dipartimento per la Protezione civile
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri