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In margine alla vicenda Bertolaso-Protezione Civile...

Quando arrivano avvisi di garanzia, perquisizioni, arresti al far dell'alba, la macchina
della comunicazione parte immediatamente, anche perché è perennemente in moto, in attesa appunto dell'evento che riempirà i giornali e i telegiornali.


Partita la macchina, non mancano mai i rifornimenti di benzina sotto forma di indiscrezioni e fughe di notizie.
Inevitabilmente l'attenzione è focalizzata sugli aspetti più pruriginosi. Ma non c'è nulla di cui meravigliarsi. Quel tipo di reati è purtroppo all'ordine del giorno come le telenovelas.

In questi giorni di bufera su Bertolaso e compagni, passa quasi in sordina che abbiano inquisito o addirittura arrestato per concussione o corruzione Presidenti di provincia, assessori e via ammanettando.
La vicenda Protezione civile è però cosa ben più preoccupante. Non crediamo che Bertolaso sia colpevole di concussione o corruzione.
Non è questo il suo lato debole. L'aspetto che preoccupa è l'ambizione di gestire la protezione civile come un'azienda privata mirando all'efficienza e trovando in questo intento l'ammirata compiacenza e il convinto sostegno del Presidente del Consiglio
"pro tempore" di centrodestra ma anche di centrosinistra.


Il sistema si è concretato subito. Un'iniziativa parlamentare di revisione della legge base sulla protezione civile fu immediatamente bloccata dal Governo e furono completamente ignorate le argomentazioni del proponente.
La legge è palesemente incostituzionale? va bene così, non c'è bisogno di nuove leggi, è sufficiente interpretare innovativamente la vecchia, come recita una circolare del Dipartimento.
La vecchia legge tollera una pericolosa sovrapposizione di competenze tra Stato, Regioni, Province e Comuni? Nessuna preoccupazione; si agirà con accordi, intese e raccordi, come recita sempre la stessa circolare.

Soprattutto nessun Ministro o Sottosegretario alla protezione civile ma dipendenza diretta del Capo Dipartimento dal Presidente del Consiglio che evidentemente non può non rimettersi, in una materia così specialistica, al Capo stesso del Dipartimento.

Recentemente l'ultimo tassello, la ciliegina: organizzare la protezione civile secondo le regole di una Società per azioni. Lo stratagemma poi, per operare senza lacci e lacciuoli, è stato trovato nella legge stessa della protezione civile. Basta dichiarare lo stato di emergenza e si procede a colpi d'ordinanza in barba alle leggi che potrebbero esser d'intralcio, prime fra tutte le norme sugli appalti.
Fa gioco anche l'enfatizzazione dei pericoli, come nel caso del famoso laghetto glaciale di Macugnaga, oppure dell'urgenza degli interventi, assolutamente immotivata, come nel caso di lavori programmabili con anni di anticipo.

La soluzione è brillante ma ha tre difetti.
Primo: è una libera ed arbitraria interpretazione dello "stato di emergenza" che non può essere dichiarato per eventi non catastrofici e urgenti.
Secondo: è un sistema d'intervento che esclude totalmente la libera concorrenza e il confronto delle competenze in un settore dove sono gestiti centinaia di milioni di euro.
Terzo: alimenta automaticamente un brodo di cultura "gelatinoso", com'è stato acutamente definito, dove è illusorio non immaginare che si sviluppino i batteri della corruzione.


Se l'operare in deroga può essere tollerabile in presenza di un disastro, non lo è assolutamente per la realizzazione di quelle opere che non hanno caratteristiche di urgenza e gravità e presuppongano una situazione d'eccezione.
Le opere sono realizzate con efficienza e rapidità? Ci mancherebbe altro che non lo fossero, potendo agire completamente fuori da ogni regola!

Se si aggiunge che la scelta dei maggiori responsabili dell'assegnazione e dell'attuazione dei lavori pare sia a discrezione sempre dello stesso Dipartimento, mi sembra che il quadro di rischio sia completo.
E ciò non è proprio, guarda caso, nella filosofia della protezione civile, dove previsione e prevenzione sono dogmi ineludibili.
Il Governo difende l'operato personale del Capo del Dipartimento. Non si è lasciato corrompere;
non era suo compito controllare le commesse di lavori e si è solo fidato troppo.
Sul primo punto possiamo essere d'accordo ma sul secondo no. Quando si opera in deroga assoluta e si dovrebbero quindi inasprire i controlli, fidarsi è un errore imperdonabile.

Non preoccupa il piccolo cabotaggio dei favori, delle escort o delle mazzette che rigurgitano nel sistema della protezione civile. A questi pensano i giudici e pare che abbiano molto da fare. Preoccupa, invece, il sistema che alimenta il fenomeno. E a questo dovrebbe pensare il Parlamento.


Generale Luigi Manfredi

già responsabile del Dipartimento per la Protezione civile
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri



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