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Bene
Comune, dopo la teoria ora è tempo della pratica
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Ho più volte
denunciato che il rapporto tra monte è piano non è tra
pari, processo antico, ma che è sfacciatamente evidente dallinizio
della crisi e ora una pianura egemone ha definitivamente organizzato
il suo rapporto col monte, sia come regole che come prassi, su un modello
che non posso che definire di tipo coloniale. Sì,
coloniale!
E non uso questo termine a caso perchè nei confronti delle Alpi italiane è in atto un processo di colonizzazione interna che segue canoni collaudati dalla modernità occidentale. Regime di legalità, impianto istituzionale, distribuzione del potere sono ora funzionali alla gestione del consenso per procedere alle ultime rapine.
Introdurre il sistema
maggioritario prima nel piccolissimi comuni di montagna e poi nelle
Agenzie di Sviluppo (le ex Comunità Montane) è stata una
mossa azzeccata.
Queste ultime nulla hanno più di montano, mentre perimetrazioni di fantasia le hanno rese lantitesi del concetto di comunità e spero che si proceda quanto prima a correggere questo pasticcio istituzionale. La distribuzione del potere è ora funzionale alla costruzione di una egemonia esterna che deve essere condivisa solo più da una ristretta elite locale a cui destinare piccole e ininfluenti zone di potere. Ora le decisioni possono essere prese in ambiti ristretti e senza più discuterne con i consigli comunali o di valle, tutto è pronto ormai per occuparsi dellultimo saccheggio delle ultime risorse che il territorio ancora può dare, si può grattare il fondo. Ora è possibile un approccio liberal alla gestione delle risorse, non serve più concordare le strategie con la comunità locale, i cui interessi sono comunque rappresentati dalle Agenzie di Sviluppo e che perciò non ha nulla di cui lamentarsi. Non è necesario coinvolgere nelle scelte tutta la comunità locale, che viene considerata per lo più semplice, elementare, statica, carente e bisognosa di piccole cose ovvie e che va tenuta a debita distanza dal guidatore, che non va disturbato, mentre a debita distanza devono anche stare gli organi di stampa, che diventano molesti se cercano di capire.
Gli interventi però
prevedono la valorizzazione di risorse naturali che sono considerate
bene comune, argomento sensibile per i pochi rimasti.
Una s.p.a. privata ha sicuramente un piano industriale che è noto alla proprietà, una s.p.a. a maggioranza pubblica dovrebbe discuterlo nelle sedi istituzionali del socio publico. Sicuramente formalmente questo avviene, ma limpianto istituzionale oramai non essendo più di tipo comunitario, non prevede che tra esecutivi e consigli ci siano momenti di confronto, le decisioni sono prese al vertice e pochi, troppo pochi, decidono per tutti. Percorso rischioso per la quota pubblica della proprietà, perché eventuali errori ricadrebbero comunque sul portafoglio della valle, rischio sicuramente noto ai pochi decisori. Un approccio comunitario è invece quello di concordare con la comunità di valle lobiettivo strategico. Si potrebbe iniziare concordando un patto di sindacato con gli altri tasselli organizzativi di valle (Comuni Riuniti, Espaci Occitan, Centro Giolitti, Tecnogranda, associazioni di categoria, ecc) per puntare in modo sinergico, ad esempio, allautosufficienza energetica senza vendere allesterno lenergia prodotta (le ultime risorse comunitarie sarebbero disponibili entro lautunno, ma andranno a progetti ambiziosi e innovativi). Poi si dovrebbe discuterne nei consigli comunali e della Agenzia di Sviluppo. Non è un percorso né lungo né complesso, basta volerlo fare e porterebbe a decisioni condivise e sicuramente più solide e meno rischiose.
Mariano Allocco Presidio alpino di Prazzo - Valle Maira Agosto 2010 |
Per contattarci: presidioalpino@tiscali.it
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