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"Nec lupus in villis, nec malus ullus erat"


Nel 1610, giusto quattrocento anni fa, la normalizzazione della Valle Maira voluta da Carlo Emanuele I era praticamente conclusa, nuove regole di governo, altre leggi e diversa organizzazione delle istituzioni stavano prendendo il posto di consuetudini centenarie.
Perché rimanesse memoria di quelle "franchigie, immunità, libertà, buone vianze e laudabili costumi" in base alle quali si era autogovernata per secoli la valle, i sindaci dei tredici Comuni dell'alta Val Maira incaricarono di riprodurre a stampa gli antichi statuti Antonio Abello, "da vinti sette anni in qua segretaro di essa valle", cioè dal 1583, quando la valle rendeva ancora conto ai Marchesi di Saluzzo e al re di Francia.
Persona del suo tempo, molto colta, scrupolosa nelle questioni politiche e "prudente", per lui "non essendo altro la prudenza che un composito di dottrina et esperienza et che l'esperienza non s'apprende da altro meglio che dall'andar a torno et veder i costumi di molte et varie genti, per poter vivere nella patria luoro in sommo riposo e tranquillità".
L'Abello aveva vissuto da protagonista il periodo più travagliato della storia della valle, ne era stato profondamente segnato e volle che il suo lavoro non fosse solo una semplice trascrizione, ma ne fece un atto d'amore nei confronti di un mondo che aveva visto e vissuto e che si stava allontanando nel tempo.
Un messaggio che arriva al lettore in modo diretto, struggente fin dalle prime righe del proemio che inizia con questi versi:
Macra vetus veteres dum me rexere regentes
Nec Lupus in villis, nec malus ullus erat
Defunctis senibus, resurget prava juventus
Cujus consilio praecipitata ruam

La Valle era il suo mondo, la sconfitta di questo angolo di mondo per Abello era paragonabile alle temperie subite dalla Roma imperiale e lo struggimento che sicuramente provava nel vederla priva di libertà lo avevano portato a parafrasare l'antico epigramma latino :

Roma vetus, veteres dum te rexere Quirites,
nec bonus inmunis nec malus ullus erat.
Patribus exstinctis successit prava iuventus,
quorum consiliis praecipitata ruis

Dal suo lavoro è evidente l'amore di Abello per la sua gente e la dedizione con cui svolge il suo "officio di secretaro …non già come la valle meritevole, ma al meno di mio poco potere et con ogni sincerità".
Il passaggio dalla signoria allo stato centrale, la fine delle autonomie locali, l'inizio in Europa dell'età dell'assolutismo che caratterizzò il "secolo di ferro", per le nostre valli avveniva sotto le insegne di Carlo Emanuele I e tutto questo era simbolicamente presentato da Abello con l'arrivo del lupo e del male.
Prima dei Savoia "Nec lupus in villis, nec malus ullus erat", frase che mi è tornata prepotentemente alla memoria il mattino del 29 dicembre quando abbiamo trovato i resti di una femmina di cervo sbranata dai lupi a pochi metri dall'abitato di Prazzo Inferiore.
Di un animale che superava abbondantemente il quintale rimanevano poche ossa e alcuni brandelli di pelle, resti di altri caprioli erano sparsi poco lontano.
Alla sera sento l'ululare del branco al limitare del bosco e non posso non pensare che sia l'uno che l'altro stiano per presentare il conto a una popolazione che da sempre è stata loro ostile, che credeva di aver imposto il suo dominio su di loro, ma invece probabilmente sta per essere spazzata via dalla storia.
All'inizio del '900 furono abbattuti gli ultimi lupi e l'estensione del bosco aveva raggiunto i minimi storici, in un secolo le posizioni si sono invertite e ora i lupi e la selva stanno tornando da vincitori.
Il ritorno del lupo e l'avanzare della selva nei coltivi ci vede inermi, senza possibilità di difesa, senza alcuna possibilità di poter far valere le nostre ragioni e senza interlocutori disposti a ascoltarci.
La presenza umana sui monti viene considerata residuale.

Sia la presenza di una fauna aliena che l'avanzare del bosco nei coltivi impongono una riflessione seria e che tenga in giusta considerazione le ragioni e gli interessi dei pochi che la montagna continuano a vivere.
Finora gli interventi legislativi sia della Regione che delle Provincie hanno considerato come centrale l'ambiente, da tempo vado proponendo di spostare l'attenzione sull'uomo che vive la montagna.
La politica per la montagna ereditata dal secolo scorso ha fallito tutti i suoi obiettivi e nessun cambiamento visibile e credibile è all'orizzonte.
Un patto nuovo tra montagna e pianura si impone ogni giorno con maggior evidenza, ma sta anche a noi, gente e istituzioni delle valli, portare con incisività e efficacia le nostre argomentazioni sul tavolo dei decisori senza delegare alcuno in vece nostra.
Nessuno si occuperà mai delle ragioni altrui senza un personale tornaconto, sta a noi proporre alternative, progetti e strategie.
Buona parte di quanto sta succedendo quassù è da imputare a mancanza di idee, di classe dirigente, di determinazione, di capacità di elaborazione politica e di unità di intenti delle zone alpine.
Antonio Abello quattrocento anni fa affermava che "chi senza prudenza al governo et maneggio de provincie, popoli et communità s'accosta, il più delle volte in pericolo e scompigli si trabocca", parole che riporto in modo testuale perché sono sempre attuali.
Nei confronti della questione montana ai decisori regionali e provinciali suggerisco un atteggiamento che come Antonio Abello definirei "prudente" cercando di capire i problemi andando "a torno et veder i costumi di molte et varie genti, per poter vivere nella patria luoro in sommo riposo e tranquillità" e non progettando la politica montana solo da Palazzo.
Temi attuali in campagna elettorale aperta per le regionali, spero di vederli in evidenza nei programmi elettorali.


Mariano Allocco
Presidio Alpino Prazzo\Valle Maira


03/01/2010


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