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A proposito delle Comunità montane...

Le Comunità Montane da tempo sono sotto attacco e la loro fine avverrà probabilmente per asfissia, visto che nei prossimi anni si prosciugheranno i finanziamenti da Roma.
In loro difesa da noi si stanno muovendo da tempo generali senza esercito, ma perché dalle valli non giunge alcun segnale di mobilitazione generale ne da parte dei Comuni né da parte della popolazione? Perché questo fallimento?
Due i motivi, il primo è un errato concetto di montanità che ha fatto dilagare in pianura un ente che si dichiara montano, il secondo è la sua innaturale collocazione come ente di raccordo tra i Comuni e il resto della struttura di potere.
Se in altre regioni le Comunità Montane arrivano alle spiagge mediterranee, in Piemonte esse scendono abbondantemente in pianura, ma nulla mi porta a riconoscere come montani i Comuni della fascia pedemontana, inglobati fin dall’inizio nelle C.M. convinti, allora come ora, che esse possano far pesare le proprie ragioni solo se esprimono grandi numeri.
Come risultato di questo errore, si è avuta l’emarginazione della montagna vera, che in un contesto così chiaramente squilibrato, sia in termini demografici che economici, non ha peso decisionale.
I Comuni di fondovalle hanno problemi e dinamiche sociali ed economiche assolutamente diverse dalle zone alpine e, paradossalmente, sono questi i Comuni che rischiano di pagare in un futuro prossimo il prezzo maggiore per l’errore nel quale si persevera.
Sul piano organizzativo, la Regione ha sempre cercato un percorso breve per assumere decisioni che riguardano la montagna e per questo ha voluto un rapporto privilegiato con i Presidenti delle C.M., scavalcando la figura dei Sindaci.
Le scorciatoie però non funzionano in democrazia e questo è il secondo motivo che ha indebolito le C.M., che si sono allontanate sempre più dal territorio, che, piaccia o meno, è rappresentato in prima battuta dai sindaci e non dai presidenti di C.M.
Questo metodo funzionerebbe in un contesto in cui la sussidiarietà è applicata e riconosciuta, in cui le C.M. hanno deleghe date dai Comuni, ma ora siamo in una situazione inversa, le deleghe arrivano da Torino e dai Comuni sono subite.
Se da Roma si vogliono cancellare le C.M, la Regione è corsa ai ripari con un unico obiettivo : tenerle a tutti i costi in vita e la soluzione trovata è quella di ridurle da 48 a 23, senza ridiscuterne l’estensione geografica e di adottare il metodo maggioritario per le elezioni del consiglio e della giunta.
In questi mesi non ho mai sentito una parola al riguardo delle cause del collasso, solo e sempre discorsi di spartizioni territoriali, luoghi in cui sistemare la sede della C.M, preoccupazioni di presidenti che vedono traballare il loro scranno, ecc..
Trovare soluzioni a problemi di cui non si vuole conoscere i termini è una bella scommessa.
“La diversità geografico-storica, per essere rispettata, reclama costruzioni complementari e armoniose che preservino la personalità e la ricchezza di ciascuno”, bisognerebbe riflettere su questa affermazione di J. Le Goff. Perché allora non ribaltare completamente la proposta con piccole aggregazioni di Comuni nelle medie e alte valli e lasciare che quassù il metodo proporzionale favorisca un approccio comunitario?
I sindaci poi devono tornare ad essere il riferimento per la struttuta di potere, a loro la scelta se delegare rappresentanza e compiti a enti di valle e procedere ad unioni tra Comuni ormai troppo deboli demograficamente.

La Giunta regionale ha fatto però la sua scelta, spero che il Consiglio sia più saggio, comunque un favore a tutti lo chiederei : non chiamate queste nuove macro aggregazioni “Comunità Montane”, nulla in esse mi ricorda un approccio comunitario e la montagna vera è lontana da questi carrozzoni.

Mariano Allocco
Presidio Alpino - Prazzo\Valle Maira

Ottobre 2008


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