Intervista a Fabrizio Simondi del 17 dicembre 2004.

D: Qual'è stata la portata dell’operato de Lou Dalfin nella situazione delle valli?

Per quanto riguarda la presa di coscienza della gente delle valli sulle tematiche occitaniste Lou Dalfin è stato effettivamente un elemento di forte innovazione, di forte novità. Noi venivamo da una situazione in cui il movimento occitanista in generale (e con questo mi si perdoni il conglobare nell’accezione occitanista anche quelli che occitani non si ritengono affatto, come quelli della mia valle, solo per una questione di nomenclatura probabilmente che comunque vuol dire anche altre cose) non aveva saputo mettere radici nelle valli.
La gente assolutamente non voleva saperne della presa di coscienza occitanista perché i movimenti occitanisti tendevano più che altro a fare proseliti all’infuori delle valli, senza guardare cosa stava succedendo all’interno, e ogni situazione interna alle valli era solo vista come una possibile fonte di contributo o poco più. Questi movimenti hanno sempre cercato di arrivare alla visibilità esterna con degli eventi culturali che potessero interessare la grande massa, e quindi la grande massa vuol dire la popolazione esterna alle valli perché noi sappiamo di essere, oltre a una minoranza etnica, una esigua minoranza a livello di numeri, di popolazione; anche per questo motivo, indubbiamente, i politici attualmente non vengono neanche più su a fare i comizi, preferiscono tenersi al di fuori dove il bacino di voti sicuramente è maggiore, quindi la nostra forza contrattuale e politica è minima.
Lou Dalfin è stato un elemento di grandissima novità in questa situazione facendo leva sulle aspettative dei giovani delle nostre valli. Normalmente la visione del mondo occitanista, chiamiamolo così, è sempre legata, specie negli ambienti cittadini o di bassa valle o comunque esterni alla nostra realtà, a un qualcosa di arcadico, a un passato glorioso e quindi gli occitani venivano visti come quelli che si vestono in un certo modo, che ballano in un certo modo e che sono quasi gente da rinchiudere in un museo e niente di più.
Lou Dalfin ha parlato diversamente, ha detto “Gli occitani sono quelli che vivono nelle zone occitane e hanno questo comune denominatore, giovani o vecchi che siano”; il fatto di avere una particolare line-up del gruppo, una certa concezione delle sonorità, un certo modo di presentarsi, ha sicuramente fatto in modo che i giovani, non solo nelle vallate ma anche altrove, trovassero un punto di riferimento. Le nostre intenzioni come fondatori de Lou Dalfin, se posso mettermi tra i fondatori di questa nuova formazione del ’90, voleva essere destare in qualche modo nei giovani delle valli l’idea di appartenenza forte a una terra, a una cultura, a una nazione; quello che noi abbiamo sempre voluto dire è che quella occitana è un’unità, non amministrativa però nazionale, e secondo me Lou Dalfin ha fatto molto in questo senso.
Lo testimoniano anche i sempre più numerosi giovani delle valli che non solo vengono ai concerti ma che in giro sono sempre meno vergognosi della propria lingua grazie al messaggio che principalmente Lou Dalfin ha lanciato, e sulla scorta de Lou Dalfin anche tutti gli altri gruppi che però sono nati solo perché c’è stato questo input iniziale.

D: La cultura occitana e la sua immagine quali apporti hanno ricevuto dall’attività del gruppo?

Si tratta semplicemente di estrapolare il discorso che ho appena fatto riguardo ai giovani da un qualcosa di più generale, riguardante non soltanto i giovani delle valli ma anche una presa di coscienza collettiva da parte della popolazione all’esterno delle vallate su che cosa voleva dire il fenomeno occitanista.
E’ vero che, da una parte, il termine “occitano” viene associato biunivocamente alla parola ballo occitano, quindi quando si parla di occitano la gente pensa subito alla giga, al rigoudoun, alla corenta, al balet, dicendo che comunque la questione occitana può essere del tutto racchiusa in questo aspetto. Però è anche vero che l’attenzione, non soltanto della minoranza interessata a questo aspetto ma della popolazione in generale, è stata attratta da questo fenomeno. Lou Dalfin ha suonato dappertutto, in tutto il nord Italia: sono tantissime le feste a cui abbiamo partecipato e alle quali abbiamo portato il nostro biglietto da visita non solo come Lou Dalfin ma come in qualche modo ambasciatori, rappresentanti, chiamaci come vuoi (è anche un punto di vista forse un po’ presuntuoso) di tutto quello che voleva essere questa entità territoriale, nazionale di cui ci sentivamo portavoci in quel momento.
La gente grosso modo sapeva già dell’esistenza di una minoranza etnica nelle nostre valli perché quello che hanno fatto i movimenti occitanisti veri e propri, o provenzalisti, comunque ha lasciato qualche segno in giro; quello che è nuovo come elemento è il fatto che Lou Dalfin abbia fatto vedere che questa cultura non è un qualcosa di legato inscindibilmente al passato ma è un qualcosa di vivo, in continuo fermento, con la voglia di dire ancora qualcosa e con il diritto di farlo.


D: La politica occitanista: cosa ne pensi e qual è stato il rapporto di Lou Dalfin con essa?

In qualche modo ho già accennato nelle risposte precedenti a qual è il mio rapporto con la politica occitanista, cosa ne penso a proposito. Per quanto riguarda il legame tra politica occitanista e Lou Dalfin direi quasi che è un rapporto di amore-odio nel senso che comunque Lou Dalfin ha fatto molto o quantomeno abbastanza per la presa di coscienza collettiva esterna e interna alle vallate: i movimenti occitanisti quindi hanno un po’ cavalcato l’onda della moda che Lou Dalfin aveva instaurato e in questo modo Lou Dalfin è anche tornato comodo; non posso assolutamente dire, per carità, che i movimenti occitanisti hanno sfruttato la sua immagine, però se hanno acquistato molta più visibilità oggigiorno rispetto al passato è sicuramente merito anche de Lou Dalfin; questa è la parte che riguarda l’amore.
Per quanto riguarda l’odio, secondo me, questi movimenti occitanisti hanno sempre un po’ visto come fumo negli occhi Lou Dalfin in quanto Lou Dalfin parla alle masse e non ha mai voluto come interlocutore diretto il partito, la regione o quant’altro quindi sfugge a questa visione propria dei movimenti occitanisti. Lou Dalfin parla alle masse e non si atteggia a essere una branca di qualche movimento occitanista. I movimenti hanno sempre fatto in modo, più o meno direttamente, di conglobare il fenomeno Lou Dalfin al proprio interno ma non ci sono mai riusciti; Lou Dalfin ha sempre rifiutato qualsiasi etichettatura stretta in senso partitico, si è sempre rivolto alla totalità della gente,ovviamente con una visione politica che è del tutto marcata.
Secondo me una persona da quando si alza la mattina a quando si corica la sera fa politica, il proprio modo di parlare, di atteggiarsi nei confronti di chiunque deve essere permeato del suo senso civico e politico e il suo modo di pensare non può prescindere assolutamente da una visione del mondo che non abbia niente a che vedere con la politica (politica nel senso alto del termine, l’arte di amministrare la polis cioè di riuscire a dare un’impronta, a cambiare le cose con degli interventi sulle persone e sul territorio, interventi ovviamente a livello, vorrei dire, ideologico ma con questo mi si allontani il sospetto di plagio).
Ogni volta che uno parla, che uno pensa, fa politica. Per quanto riguarda la politica occitanista in generale, cioè l’attenzione rivolta dalle istituzioni a tutte le tematiche occitaniste, sicuramente il fatto di avere un’opinione pubblica che in qualche modo era già sensibilizzata al fenomeno Lou Dalfin ha fatto del bene.
Non voglio assolutamente dire che Lou Dalfin ha ispirato la legge del ’98 sulla tutela delle lingue minoritarie però sicuramente ha contribuito ad accrescere questa coscienza di massa che ha poi portato a questa legge. Secondo me se non ci fosse stata gente che ha lavorato come ha fatto Lou Dalfin, questa legge o non ci sarebbe ancora o avrebbe tardato ad arrivare e con questa legge tutti gli interventi da parte di chi di dovere (quindi chi amministra la cosa pubblica) nei riguardi della politica e del mondo occitano in generale.

D: Cosa ne pensi della situazione attuale de Lou Dalfin, del nuovo cd, del premio Tenco, di come è andato avanti il gruppo da quando tu sei andato via?

Questa è una domanda che mi sono fatto tantissime volte e mi sono dato anche delle risposte. Io comunque tengo a dire che sono un gran presuntuoso; quello che mi lega di più a Lou Dalfin è questo rapporto continuo che ho sempre avuto con il gruppo al punto da ritenermi ancora tante volte un componente a pieno titolo, anche perché non ci sono mai stati traumi: io ho smesso di suonare con Lou Dalfin non perché c’è stata una scissione interna ma per esigenze mie personali lavorative (non riuscivo più a conciliare l’impegno con il resto perché era diventato troppo grosso) e quindi questo cordone ombelicale non è mai stato reciso in nessun modo.
Per questo tante volte mi viene da pensare che se Lou Dalfin ha vinto il premio Tenco sicuramente è merito di un lavoro di gruppo che è stato portato avanti da un bel po’ d’anni, in cui Fabrizio Simondi ha avuto una minima parte, per carità, è indubbio che la mia parte è assolutamente minima, ne sono consapevole, però in qualche modo l’idea fondamentale de Lou Dalfin, che è quella che ti ho espresso nella risposta alla prima domanda, è un’idea che ho certato di portare avanti anche io quindi voglio pensare che il premio Tenco è un premio alla carriera de Lou Dalfin, anche se comunque le motivazioni ufficiali non sono assolutamente quelle, però se Lou Dalfin ha vinto questo premio è perché c’è una certa attenzione verso il fenomeno, perché comunque è stato seminato, si è lavorato in tutti questi anni.
E’ una continuità che ormai va avanti da 14 anni e il lavoro di Sergio è ben più lungo del lavoro che sta facendo con Lou Dalfin, forse Lou Dalfin è la punta di diamante di tutto quello che fa; tutta la gente che nelle valli lavora sulla musica occitana ha o ha avuto senz’altro dei rapporti con Sergio Berardo. Il premio Tenco è stato conferito per questo cd, per la fattura di questo cd, per le sonorità e per i messaggi che porta.
Secondo me è pienamente meritato perché Lou Dalfin ha avuto e ha il grosso merito di mettersi in discussione: ogni volta che Lou Dalfin fa qualcosa non lo fa per portare una verità precostituita alle masse, non si atteggia a qualcosa che è un gradino superiore ma si butta sempre nella mischia, si fa, si disfa e si ricostruisce quasi come una fenice dalle proprie ceneri. Per questo il grosso lavoro di Lou Dalfin è un lavoro ogni volta di reinvenzione che va pienamente d’accordo con il lavoro che bisogna fare perché una tradizione sia da considerare viva, in continuo fermento, in continua discussione e non qualcosa di statico e legato al passato.


D: Di cosa parlano i testi delle vostre canzoni e da dove prendete spunto per scriverli?

Normalmente un testo nasce sempre da un’idea di fondo che nasce a sua volta da situazioni che sono state in qualche modo discusse. Abbiamo sempre cercato di sdrammatizzare delle situazioni e di portare avanti un discorso non legato al passato.
Quindi tante situazioni normalmente a cavallo tra il tragico e il comico vengono dipinte da Lou Dalfin con dei quadretti che sono assolutamente in contrasto con le visioni asfittiche e statiche di cui ti dicevo prima.
Per esempio la storiella del tipo che vive in montagna e vive di tutto il suo avere viene sconvolta dal fatto che viene tradito dalla moglie, che la fabbrica lo licenzia, perché il rapporto dell’individuo con la terra deve essere qualcosa di assolutamente vivo e non di arcadico. Nei messaggi che Lou Dalfin ha portato non c’è mai stata Heidi con le caprette che vive tranquilla in montagna ma ci sono sempre state situazioni di gente che ogni giorno si butta nella mischia, che ogni giorno si prende le botte e ogni giorno cerca di darle.
Normalmente le persone che dipingiamo sono dei perdenti, è della gente che in qualche modo è emarginata oppure sconfitta dalla mentalità comune e si colloca quindi a lato, ha dei comportamenti devianti.
Forse ti sto facendo una visione un po’ troppo introspettiva della cosa però io parlo dei miei testi e di quello che dico e magari mi aiuti anche a tirare fuori delle cose che finora avevo inconscie; parlo di questi comportamenti devianti che vogliono far vedere che l’individuo e quello che viene ritenuto il bene collettivo, la visione utilitaristica del mondo, tante volte riescono a conciliarsi molto male e quindi prendiamo questi spunti per parlare per esempio del magnaccia (è il caso della corenta di Jan del car) o dei ladroni che alla fine comunque vengono impiccati, i bandits, e cose di questo genere.
Tutto questo comunque sempre con non un piede ma tutto il corpo catapultato, infisso dentro l’humus, dentro il fango della vita sociale dal quale non dobbiamo assolutamente tirarci fuori perché noi viviamo in una realtà e non viviamo nel mondo delle idee.